Mi capita sempre più frequentemente di venire spiazzato dalla solita domanda a bruciapelo, formulata da amici che abitano altri angoli del pianeta, e che
suona pressapoco così:
  "Ma cosa ci trovi di realmente positivo nel vivere a Milano?"
Il macigno, già di per se ingombrante e spaccacuore, viene poi ricoperto da quel muschio giallastro tipico delle cloache più infime dell'esistenzialismo
andato a male e che si traduce negli sguardi e nei toni laconici, tra pietistica indulgenza e tenera commiserazione per una condizione (la mia) che evidentemente
questi "veri amici" accostano tout court ad un punto di non ritorno: mi danno per spacciato!

  Ad essere sincero fino in fondo, dopo il primo momento di comprensibile sbigottimento iniziale, un fremito tenue eppur deciso si è sempre librato in risposta
dalle viscere della mia animella bucherellata, anticamera di una risposta annaspante e rabberciata alla meglio in cui, comunque, mi è sempre apparso di
credere fermamente.

  Gentlemen, oggi la risposta esiste, più ferma di Galatea nei pressi della Gorgona, più lapalissiana del calore del fuoco, più inconfutabile dell'esistenza
di un Dio, più esauriente allo stato d'animo di un Bedèo ammaccato e a metà percorso.

  - "Abito a Milano perchè posso ascoltare grande musica"...
La doppietta da urlo rappresentata dai concerti dei R.E.M. (sabato 26) e di Paul Simon (lunedi 28 luglio 2008) incarnano nella maniera più lampante quanto
vado dicendo: due concerti fantastici, tanto diversi, quanto profondi, struggenti e viscerali da costituire un tuffo liberatorio nelle acque gelide di
tutto ciò che avrei voluto sapere / conoscere del mondo ma che non ho ancora osato chiedere o, forse  più semplicemente, non mi è ancora stato concesso
vivere.

    R. E. M.

  Clima da Tropici, Arena civica stracolma (sold-out per 20.000 paganti), good and fast vibrations, ulteriore prova d'amore (qualora ce ne fosse ancora bisogno)
tra la rockband di Athens Georgia ed il pubblico italiano.
Il concerto milanese dei R.E.M. è stato tutto questo, ma ancora più caldo, elettrico e "accelerato", in sintonia con il loro ultimo e fortunato album uscito
a marzo di quest'anno.
Che i tre cinquantenni titolari del marchio di uno tra i più geniali e credibili gruppi sulla scena internazionale fossero degli insuperabili animali da
palco era cosa nota. Ma che dopo tre decenni e dopo recenti prove discografiche un po' opache e fin troppo malinconiche ("Rreveal", 2002, "Around the Sun",
2004) siano ancora così concentrati, animati dal sacro fuoco del rock e in grado di scatenare e restituire tiratissime e autentiche emozioni, non era affatto
così scontato (o almeno non per il sottoscritto o per chi non fa parte del Grande "zoccolo duro" dei supporters più fedeli, vero Claudio?).

  Il menu della serata è stato ricco, vario e iper-energetico.
Formazione aurea e senza fronzoli (la chitarra di Peter Buck, il basso e avolte il piano di Mike Mills, la voce e il carisma di un sempre più elegante e
febbrile Michael Stipes -- forse anche troppo vestito per i 28 gradi appiccicoso-umidi di un fine luglio milanese --), due sessionmen più che funzionali
(batteria e seconda chitarra), un impianto essenziale quanto potente, video con raffinati effetti a bassa risoluzione, senz'altro cool e scarni nel rimando
dell'immagine on stage -- non vorremmo qui oltraggiare eccessivamente la delicata sensibilità del moribondo Michael Jackson o della ri-FATTISSIMA Signora
Ciccone (LA MUSICA VA ASCOLTATA, L'IMMAGINE OSSERVATA, UDITO / VISTA, CHIARO IL CONCETTO?) --, e un repertorio che predilige i pezzi più movimentati e
diretti, pescando anche dal passato remoto.

  La band è salita sul palco poco prima delle 21.30. Per dare il tono crudo ed elettrico alla serata ha subito attaccato "Living well is the best Revenge",
la track n. 1 di "Accelerate".
Poche concessioni alle ballate slow (a parte una struggente ed asciutta "Leaving New York che ha immediatamente procurato grossi lacrimoni al sottoscritto
che prima o poi, ve lo promette, ce la farà ad abbordare la Grande Mela per un periodo superiore all'ordinaria visita turistica, seguita da un divertente
set acustico di gran classe ed intenso, culminato in una splendida esecuzione di "I've been High".
Grande energia per le acclamatissime "Wake up Bomb", "Drive", "Bad Day" "The Great Beyond" e l'intramontabile "Orange Crush". Piena assimilazione da parte
dei fans delle nuovissime "Man-sized Wreath" "Accelerate" e della catartica "I'm gonna Dj".
I momenti più emozionanti sono comunque stati i cinque pezzi dei bis, preceduti dall'ammissione a cuore aperto, a 32 denti, di Michael Stipes del profondo
amore viscerale che lo lega al caldo, all'Italia e a Milano.
Gli Encores si aprono con "Supernatural Superserious" che si tuffa nell'imprescindibile "Losing my Religion", cantata all'unisono dai 18.000 dell'Arena.

  Splendido il nostalgico ripescaggio di "The one I love" e "Drive" a precedere il momento di maggior pathos: un'esecuzione trascinata e struggente di quella
che lo stesso Stipes a più riprese definisce la sua canzone preferita, "Country Feedback".
Pelle d'oca alta tre dita, ragazzi, occhi lucidi e scavati nel recepire quell'incredibile crescendo, prima vocale,  poi di schitarrate, che ti pugnala alla schiena, sciogliendoti nel rammarico di un mucchio di cenere sconfortante che ti scivola via dalle dita, gettandoti dal tetto dell'universo agli inferi di un inferno attraverso streams of consciousness joyciani di cui Stipes è interprete sublime:
"IT'S CRAZY WHAT YOU COULD'VE HAD,
IT'S CRAZY WHAT YOU COULD'VE HAD,
I NEED THIS!
I NEED THIS!
CHE PUZZLE RAGAZZI!

  Scaricatevi le liriche di questo pezzo, vi prego, e un'esecuzione live, ne vale davvero la pena...
Dolcissima ed inaspettata la sorpresa finale regalata dal R.E.M. fanclub italiano a Stipes: un lancio a pioggia di tanti fogliettini recanti il disegno
di un omino stilizzato durante l'esecuzione della nuova (ma già cult) "Hollow Man" che ha letteralmente mandato un Michael sorridente, ormai scioltissimo,
in autentico visibilio.
In chiusura l'elogio di Stipes al pubblico, , le sue fresche risate in barba al clima, i suoi tuffi tra le prime file per farsi accarezzare la "pelatona",
e, cosa non scontata nel mondo del rock, i ringraziamenti alle opening-stage bands di serata (la nostra Laura e gli inglesi Editors, buon gruppo al secondo
lavoro da studio).

  Al termine del concerto ho davvero avuto l'impressione di essere stato parte di un evento speciale, di un momento unico della vita di quattro ragazzi che
fanno musica per lavoro e che, ad ogni uscita pubblica, hanno come obiettivo primario quello di suonare, divertendosi sul palco, condividere i loro momenti
di sole acciecante come quelli di buio pesto con persone che sentono vicine, prim'attori nella loro tanto insperata quanto meritata scalata ad un successo
incredibile ed a cui, ça va sans dire, intendono regalare sempre emozioni forti.
Grazie Michael,
grazie R.E.M.
Ce l'avete fatta ancora.

  E poi...
Ci sarebbe Paul Simon...
Sono esausto,
merita un nuovo capitolo di questa splendida saga.

    Bedèo